domenica 18 luglio 2010

Scrittori versus Poeti/Musicisti

Perchè in musica c'è più tensione verso il positivo, mentre in letteratura verso l'opposto?
D'accordo che cinismo e nichilismo sono le più perfette forme e fonti di assenza d'amore, quindi manna per gli scrittori, e ci mancherebbe.
Ma tutto cio' vale anche per musica e poesia, eppure lì il lato oscuro viene contemplato tanto spesso quanto quello luminoso.

Io sono serva libera della Domanda, che mi è sempre Regina; quindi avendo comunque, e come tutti, quell’unica certezza, di nascere scrivere e morire da sola e nel silenzio, azzardo una risposta alla domanda che stamani mi pongo ( Fortuna che cantare e suonare sono arti di compagnia, e almeno qualche atto creativo me lo godo nel suono e nel rumore).

La mia semplice domanda iniziale è: perché gli scrittori tendono più facilmente al negativo, rimangono fissi nella contemplazione e narrazione del loro o altrui male, sublimando sofferenza, dubbio e vuoto nella loro, de facto, adorazione? Questo totem, a cui essi stessi si legano, ha un nome: caos.
Mentre perché invece spesso poeti e musicisti (parlo solo di quello che un po’ conosco, e pittura, scultura, fotografia, cinema etc. non rientrano purtroppo tra le mie conoscenze) esplorano gli abissi dell’animo e della vita come sommozzatori senza ossigeno, ma non rimangono sempre incagliati ai rottami che incontrano, riemergendo, spesso in apnea, dalla sofferenza e dal caos in modo magico, naturale? Perché riescono più frequentemente a compiere, in altre parole, il salto dal caos al cosmo?
Risulta così che spesso i primi, gli scrittori, non compiano il passo ulteriore, lo scatto felino, il salto quantico che dalla Tragedia permette di approdare al suo contrario, l’Etica, unico sentiero che dà forma al caos del mondo, unico metodo dell’agire che vi si sottrae e dà senso all’avventura umana. Non spiccano mai il volo verso il cosmo, verso la pertinenza di tutto all’interno di noi stessi e quindi la nostra pertinenza al tutto, precludendosi così irrimediabilmente al vero, unico senso della vita. Eternamente imprigionati nel caos, non mettono mai piede nel cosmo che gli offre l’affrancamento e la libertà dal sentirsi scarafaggio, talpa, lontra, nell’imperitura inquietudine pessoiana, cinismo cèliniano, negativismo Houellebecquano, pessimismo e misoginia di tanti altri grandi letterarati, narratori e pensatori. Pessimismo caotico, futile onanismo, che è legittimo definire ‘cosmico’ solo per rispetto alla sua necessaria controparte: quell’ottimismo cosmico, che, ironia beffarda e dannosa della storia e della sorte, è da secoli, e non senza motivo, molto, molto meno gettonato.
Io ad esempio non porterei mai all’attenzione altrui, di un pubblico, vasto o esiguo, le mie prime dieci canzoni composte, in cui canto la sofferenza e la disperazione di un’infanzia, una vita e un mondo miei trascorsi, se non fossi in grado anche, simultaneamente, di scriverne, cantarne, suonarne e pubblicarne altrettante sulla risoluzione, accettazione, perdono di quelle prime ‘negative’: in una parole, sull’ Amore che da esse ne è scaturito. Per quanto valore letterario, musicale, simbolico, catartico, possano avere per me, per quanta bellezza possano esprimere liriche e arpeggi, tutto ciò rimane alla lunga sterile esercizio estetico. Mentre io non posso non inseguire l’illuminazione estatica: quella contenuta al meglio delle mie possibilità nelle dieci canzoni ‘positive’, l’unica che ha in sé il potere di elevare me stessa e chi vorrà/potrà apprezzarle. Le prime rappresentano la Forma (oltre che la formazione), le seconde il Contenuto. E di quanta vuota o triste Forma abbiamo ancora, davvero, bisogno? E’ di pieni e gioiosi Contenuti che ci affamiamo e che ci affamano, ripetiamo sul blog spesso come un mantra in mille forme, Medea gigante dalle mille velenose vipere a cui restiamo tenacemente attaccati lanciando i nostri teorici strali. Passandoci certo anche rari ottimi consigli letterari, che pero’, appiccicati con acrilica colla al nostro meduseo mostro, gratificano e arricchiscono noi adepti già convertiti ma non si espandono alle ‘masse’. Perché? Perché le cosidette ‘masse’ sono ormai troppo rincoglionite, come vorremmo credere, o perché invece esse hanno difficoltà ad avvicinarsi a libri troppo ‘Forma e Caviale’ ma non riescono altresì a trovarne una sufficiente quantità che gli offra ‘Contenuti e Pane’. L’ignoranza è una colpa solo se diretta verso il giusto e l’utile. Altrimenti è sacrosanta.
Come l’unica regola psico-pedagogica realmente valida ci insegna, solo le azioni, intese come atti ispirati e agiti, valgono e si tramutano in esempio pratico per il prossimo. Non le parole, per quanto belle. Le parole hanno come limite la bellezza. L’azione conduce all’estasi infinita.
Gli scrittori ‘negativi’ credono dunque di creare qualcosa. Se non altro, bellezza: la bellezza della loro parola, estetica del loro pensiero, ma in realtà fanno l’opposto. Si fanno schiavi e, quel che è peggio, divulgatori, dell’annichilazione, che in fisica significa distruzione totale, scomparsa completa. L’esatto opposto della creazione. Non demonizzando certo l’Estetica, essa resta stucchevole se non coniugata con l’Etica. E di quanto esercizio e sfoggio di pura bellezza, interventi di artificiale chirurgica perfezione estetica, abbiamo ancora bisogno? Questi scrittori non solo abdicano alla missione e all’arte di cui si credono maestri, ma, soprattutto, contribuendo a diffondere il caos in cui le loro penne si dibattono perpetue a corpo morto nelle sabbie mobili mentali, condannano in tal modo i loro lettori, compagni d’Umanità, a seguirli nel loro pantano suicida, e a smarrirsi.
Non creano dunque nulla, anzi distruggono, di questo sono certa. Ma almeno, mi chiedo, sono utili a stimolare nel pubblico una riflessione sui lati tragici e inevitabili della vita e della sua (per loro) mancanza di senso? Ancora una volta la mia risposta è no, non assolvono neppure a quella funzione, perché non è eticamente (di nuovo l’Etica!) accettabile porre malandrini al pubblico una questione scottante e potenzialmente generatrice di sofferenza, senza offrire anche una riflessione, uguale e contraria alla prima ‘negativa’ tesi. Perché senza la profferta e l’introvisione di una speranza, l’autodeterminazione esala il suo ultimo respiro, e tra le dita tremanti non rimane che una sabbiolina fina e inconsistente quanto la rabbia o l’apatia: i due stati emotivi che non a caso dominano la nostra epoca, dal V secolo a.C. a oggi intendo, dai tempi dell’aurea Atene, ultima vera Democrazia fondata sulla Verità, la Conoscenza, la Libertà. L’ultima epoca storica, a noi più vicina e durata un solo, straordinario secolo, in cui filosofi, arti e teatro già magicamente ci rivelarono tutto quello c’è sul mondo, l’uomo, la vita e l’Universo da dire e da sapere. E che è purtroppo stato ben presto colpevolmente dimenticato e volontariamente censurato durante tutti questi secoli: la lunga era del dominio della ragione pura sull’anima. L’illuminato discorso di Tom Wolfe sul secolo del “Cervello senz’Anima” risale ormai al 1996, ma nulla è migliorato da allora, anzi il nuovo lustro non ne ha portato, ad oggi, che una profonda accellerazione e recrudescenza.
Tutto ciò detto, certo, a patto che agli scrittori stia veramente a cuore contribuire all’evoluzione e non invece all’implosione, all’entropia, che si dice sia sua inscindibile, inevitabile controparte. O addirittura sua identica controfigura. Anche accettando questo ultimo concetto, che vede evoluzione e entropia facce della stessa medaglia, una ying del suo naturale yang, per me ci resta, comunque, sempre una cosa: la scelta. E io, nel mio piccolo, scelgo il sentiero del progresso. Quello vero. L’unico autentico, auto- ed etero-soddisfacente.
Ma tornando ai poeti e ai musicisti, come altri io teorizzo perchè ‘sento’ il sostegno dell’energia di lampi intuitivi in forma di liriche e note (stessa energia: il canto del significato), che li sospinge in questo salto vibrazionale e salvifico dal caos al cosmo, dalla distruzione alla creazione, dal negativo al positivo. Essi riescono a compierlo più facilmente, naturalmente. Magicamente, si dice. Ma, ed è questa la sua semplicità, d’una magia umana quanto ogni altra funzione fisiologica: spirituale quanto il sesso e materiale quanto la digestione.
Ma perché la scarica intuitiva del poeta e la nota prodotta dal musicista hanno doti tanto ‘magiche’? Perché aiutano i loro conduttori a spiccare il volo dalla terra su nel cielo, a riemergere disperati dai loro abissi profondi? Perché intuito e musica sono essi stessi fatti della stessa materia del cosmo! Anzi: la precorrono! Ne sono, semplicemente, l’energia creatrice.
Mi rendo conto di abbandonare qui il terreno puramente letterario e di addentrarmi sullo sdrucciolevole piano filosofico, ma le due cose non sono, a questo punto, scindibili.
Onde, the next Big questioni is: e l’energia creatrice, l’atto della creazione, da dove viene? E qui in particolare: a poeti e musicisti, da dove gli viene? Sappiamo, ogni scienza umana lo sa, che è parte del cosmo, dell’Universo. Vi ci abita dentro, essenziale coinquilina. Ma è possibile che parta essa stessa dal caos? Elemento centrale che si colloca nel mezzo di un cerchio che non si apre e non si chiude, ma gira come una palla composta da questi due poli: caos e cosmo. E in cui lei giace beata all’interno. Motore placido e confortevole di questo cerchio e di tutto quello che gira eterno insieme a loro.
La risposta alla successiva ovvia domanda “ma da dove è caduta allora questa palla di caos/cosmo nel cui mezzo risiede l’energia creatrice?”, fulcro di questa mia supposizione, è molto semplice: la palla non è caduta da nessun posto, non è venuta dal nulla, ma è esplosa dal suo interno, il suo centro creativo.
E il centro creativo, come è scaturito?
Eccoci qua. Alla domanda delle domande. Considerata inutile e presuntuosa addirittura, da sempre e per sempre, da tutti. Ci sono interrogativi che non necessitano di risposta, anzi, che non dobbiamo essere autorizzati a considerare, ci dicono. Tra i molteplici: “Perché esiste qualcosa anziché il nulla?” (Leibniz).
Io dico di no, che non è presuntuoso porsela, né indice di delirio d’onnipotenza perseguibile da Chiesa, Stato o Psichiatri (che sono la stessa cosa): i dogmi, le leggi, le diagnosi, si cibano della stupidità. Le riflessioni, nessuna esclusa, si cibano dell’intelligenza e dell’anima: le due armi, esclusive e potenti, che l’uomo possiede e deve (dovrebbe) usare in pari dose ed equilibrio.
E quindi, perché non porsele quotidianamente queste domande, soprattutto se la risposta è così semplice e davanti agli occhi di tutti?: ogni atto creativo, di cui l’uomo è potenziale artefice ogni giorno (d’accordo, bambini, artisti e filosofi in maggior percentuale), è qui per mostrarci la semplicità insita in tutta questa ‘grande ‘ questione. Ogni volta che viene creato qualcosa, si riproduce il cerchio perfetto del caos, da cui esso nasce, e del cosmo, in cui esso risplende.
Un semplice esempio di ciò me lo ha porto su vassoio argentato mia figlia, anni tre, oggi, quando, nella noia feconda di una mattinata estiva, crea una scarpetta principesca attorno al suo piedino utilizzando strisce di carta ritagliate con le sue piccole forbici colorate e incollate con un tubetto stick di colla. Lei fa tutto questo generando un’idea e un oggetto nel caos di un tavolo e pavimento imbrattati, appiccicati e ricoperti di pezzetti di carta, per poi goderne, ridendo orgogliosa e felice, mostrarlo alla madre, il suo cosmo, la quale lo contempla e lo osserva gioiosa, battito d’ala di farfalla che sposta una montagna fino ad ora granitica di dubbi e domande su un quesito che solo stamane, al risveglio, mi pareva insondabile e destinato all’oblia confusione.
Quindi, amati scrittori (e mi ci metto anch’io, nel mio impubblicato, celato piccolo), nel caos, ci si annega, facendo annegare il prossimo con sè. E il cosmo stesso, se lasciato irraggiunto e irraggiungibile, può diventare una prigione, divenire esso stesso caos primordiale e finale.
Perché nell’Universo c’è una partita che si gioca pari chance: un 50% è lasciato al caos e alle sue sacrosante fatali variabili. Ma il restante 50% è formato dall’autodeterminazione e dalla sua magica segreta arma: il pensiero positivo. L’unica possibile forma di resistenza al male si trova infatti all’interno dell’individuo, nelle sue varie forme di meditazione, preghiera, lettura, sogno, innamoramento, sesso, concepimento, allattamento: le forme dell’Amore. Persino la scienza oggi ci dimostra che esiste un ormone specifico dell’Amore, l’Ossitocina, che sovraintende a tutti gli atti creativi specifici umani, dalla nascita alla morte, definiti tutti ‘orgasmici’ in quanto possibili grazie allo spegnimento della maledetta/benedetta neocorteccia, causa della nostra inibizione mentale, grazie a questo divino ormone.
Ma se nessuno, genitori, insegnanti, scrittori, artisti, ce lo insegna, noi non potremo imparare l’Amore, introiettandolo dal principio con l’esempio quando nasciamo, cresciamo, viviamo e muoriamo nella sua triste, disperata assenza. Ci saranno certo sempre eccezioni, anime, persone che dal peggior non-Amore riescono miracolosamente a germinare semi raccattati qua e là nell’Universo per imparare quella vitale lezione mai prima appresa. Ma per un reale salto evolutivo comune, base d’un reale progresso, ci vuole una sincronicità d’accoglimento, conoscenza e pratica dell’Amore. Negli anni ’60 c’e’ stata una prova generale di infusione e conversione di massa di questa energia creatrice d’Amore, purtroppo naufragata nell’estremismo e fatta deviare con metodo e mira cecchina dalle forze avversarie.
In ogni opera d’arte sorge il mondo, si dice. Ma se permeata e racchiusa dentro il puro caos, essa non lascia spazio al cosmo, sistema ordinato e armonioso, senza cui la creazione, che vive all’interno di questi due elementi portanti, sorgendovi e facendo sorgere, muore soffocata, d’ossigeno privata. Il solo idrogeno, sebbene al quadrato, non basta a nulla, se non a sè stesso, spermatozoo solitario incapace di fecondare e concepire. Quell’opera d’arte non contiene in sé pertanto alcuna creatività, nel caos può solo nascere una scintilla destinata ad abbozzare la vita ma subito ad abortirne il suo frutto. Se quella macchia di caos non incontra il cosmo, non lo penetra e non lo riempie di sè, la creazione si interrompe, l’Amore si blocca allo stadio embrionale, non compie il proprio cammino, e nulla addiviene al suo giusto destino.
L’Universo non è un enorme, prevedibile orologio, come voleva Newton con la sua visione meccanica, ma un’energia indeterminata su cui piccole condizioni iniziali possono provocare effetti imprevedibili finali (teoria del caos di Lorenz): il famoso battito d’ali di farfalla, su cui uomini comuni, scrittori, poeti, musicisti o artisti potrebbero, dovrebbero, influire ognuno secondo le sue possibilità: facciamo allora lo sforzo di includere il pensiero magico positivo all’interno delle nostre opere e azioni. Uno sforzo che spesso pare colossale, immersi come siamo nelle nostre a volte tragiche condizioni o anche solo pietose lamentazioni quotidiane, ma che invece è sempre, in ogni istante, alla nostra portata, facile quanto il volo per l’uccello. Diffficile solo se quell’uccello ci ostiniamo ciecamente ad ignorarlo, schiavi solitari della nostra menzognera mente.
Ma tornando ai poeti, e alla loro capacità di trasformare l’abisso in Universo, vorrei fare l’esempio di una donna, Etty Hillesum, poetessa olandese, definita come l’anti-innocenza infantile alla Anna Frank, che prelevata da un treno nazista per esser condotta ad Auschwitz, dal finestrino in movimento fa in tempo a urlare: “Usciremo dal campo cantando!”. Cos’è questo se non l’essenza della spiritualità, dell’Amore, della creazione della sua realtà, che, dalla totale repulsione si fa convinta accettazione della propria condizione. Una condizione di “parte passiva immune da ogni umiliazione”, che, proprio grazie a questo pensiero, rigenera se stessa.
Come tavolini monchi, noi umani, e qui in specifico noi scrittori, tendiamo da millenni a reggerci su una sola delle due gambe di cui disponiamo, ci priviamo di ogni equilibrio, oscilliamo impotenti e nervosi in un Universo sommerso, capitoliamo e ci sfracelliamo a terra sprizzando intorno a noi le ceneri di segatura di cui ci siamo riempiti e fatti riempire. Segatura che serve solo a coprire il vomito, nostro e altrui. Ormai, quello sì, ‘cosmico’.
Costruiamoci invece di legno massello, puntelliamoci sulle nostre due divine, solide gambe: mettiamo il nostro grande intelletto al servizio dell’anima, che è il nostro più prezioso e delicato dono. E allora, anche se cadremo, quando cadremo, si libereranno da noi scaglie ligneee vive e pulsanti che, come gemme da un fiore e semi da un frutto, si diffonderanno ovunque per essere ritrasformate in nuovi tavolini a due gambe autentici, solidi, stabili e riciclabili, preziosi inserti nel cosmo dei nostri cari e nell’Universo di tutti quanti.

PS. Alla luce di questa mia riflessione, tanto per iniziare sulla buona strada della pratica, avanzo una proposta: perché non abolire link e citazioni, aforismi e video ‘gratuiti’ dai nostri blog, facebooks etc.?. A meno naturalmente che non siano accompagnati e giustificati dalla presenza di post autentici, riflessioni autonome, domande originali, risposte creative.
Di qualche granello di farina del nostro sacco insomma.
Ed eliminiamo tutto il resto.
Chè tutto il resto è riciclo di truciolato. E si ricicla il truciolato?
Solo legno vivo e Verità, d’ora innanzi!
Sogno utopico o possibile realtà?

V.V.V.V.V.
«Vi veri universum vivus vici» ( «Con la forza della verità, da vivo, ho conquistato l'universo»)





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